PROGETTO OLTRE

– la mia vita normale –

Un reportage con il CDD Via Pisa – Cologno Monzese

Razze, super razze, minoranze etniche, bianchi, neri, gialli, rossi. Marocchini, arabi, musulmani, cristiani. Poveri e ricchi. Senza Dio. Belli, brutti. Ebrei, zingari, clandestini, rifugiati, slavi, turchi. Settentrionali, meridionali. Ma anche omosessuali, disabili, disabili gravi. Incapaci di intendere e di volere. Savi e pazzi. Estemporanei. Troppo colorati o troppi grigi.

Un coacervo di vite, un’apoteosi di forme e colori. Un soggetto vivo e pulsante che si chiama Umanità, alla cui base dovrebbero valere, per ogni singolo individuo, gli stessi principi universali e inalienabili, gli stessi fondamentali diritti al rispetto, all’amore, alla sopravvivenza, ai sogni. All’aspettativa di un buon futuro e soprattutto di un buon presente.

Invece, si gioca a dividere questa nostra umanità in sottocategorie le une contro le altre. Con la fatua ricetta che gli uni sono sicuramente meglio degli altri e che ben sanno rappresentare il “normale”, il giusto, il conforme, relegando gli altri a soggetti passivi, inutili se non addirittura dannosi, che trasmettono, in ultima analisi un forte senso di disagio! Ammesso e non concesso che possa mai esistere uno strumento di misura, un canone, un principio, un protocollo che possa concretizzarsi, senza ombra di dubbio, in un “modello di normalità” stabile nel tempo e non soggetto ai contesti e alle “scuole di pensiero” dell’epoca in cui si sta vivendo.

Fino agli anni ’70 il lavoro di chi documentava la diversità, attraverso i racconti e le immagini, era focalizzato sulla denuncia di soprusi e ingiustizie. Funzione etica necessaria che si inseriva nel cammino delle conquiste sociali. Oggi i valori di uguaglianza, parità e rispetto dei diritti umani sono, “in teoria”, concetti condivisi. Quindi, cosa rimane da raccontare?

CHE COSA SI VUOLE RACCONTARE

Molto è stato detto e fatto, eppure molto è ancora da fare.

Perché, a proposito di disabilità intellettive, si è ancora più invisibili, soprattutto con l’avanzare dell’età dove aumenta, per le famiglie, il senso di abbandono e cresce l’ansia del “dopo di noi”. L’universo delle disabilità non riesce a uscire dal cono d’ombra delle statistiche pubbliche, dell’immaginario collettivo e del linguaggio comune. Un italiano su 4 afferma che non gli è mai capitato di avere a che fare con persone disabili. E la disabilità è percepita da 2 italiani su 3 essenzialmente come limitazione dei movimenti, mentre in realtà la disabilità intellettiva è più diffusa e rappresenta l’aspetto più trascurato, al limite della rimozione.

Il fine del progetto è creare un dibattito sui diritti delle persone con disabilità intellettiva, che si apra verso l’esterno, ad incontrare la gente attraverso una mostra fotografica e la pubblicazione del reportage.

Nello svolgimento del suo percorso, il progetto vuole

o   Tessere una rete di storie che raccontano la vita delle persone con disabilità del CDD di Via Pisa e della loro comunità.

o   Considerare il concetto di “normalità” nella visione quotidiana vissuta dalle persone con disabilità cognitiva anche grave (“la mia normalità”), dalle loro famiglie e dagli educatori, nella sequenza e nella fatica degli atti quotidiani, in una sfera spazio-temporale dilatata che concede luoghi e ritmi diversi.

o   Conoscere le famiglie (quelle che vogliono coinvolgersi nel progetto), sulle quali ricade la responsabilità e il carico dell’assistenza della persona con disabilità, la cui portata non emerge (i sostegni istituzionali sono limitati quasi esclusivamente ad un supporto economico molto inferiore alla media europea). Famiglie che spesso vengono coinvolte nello stesso percorso di marginalità e isolamento, il cui bisogno di tempo differenziato rischia, invece, di cristallizzarsi e chiudersi in una continua ripetizione dei gesti.

o   Assorbire dagli educatori del CDD, dai loro Responsabili e dall’associazione “Con noi e dopo di noi”  presente nel centro, le loro motivazioni, il loro entusiasmo, il loro impegno costante.

o   Esplorare la possibilità di contatto, d’incontro e di conoscenza reciproca di due mondi ancora separati culturalmente (magari coinvolgendo una classe della scuola vicina). Raccontare con il fine di abbattere l’emarginazione e la paura tuttora vicendevolmente presente “del mondo di fuori” e del “mondo di dentro”, col rovesciamento del punto di vista consueto.

COME LO SI VUOLE RACCONTARE

L’approccio rifiuta il pietismo e il sensazionalismo banale. Vuole cercare, invece, di narrare le storie e le persone così come sono. Con la loro quotidianità, la loro intimità, le loro pulsioni, emozioni, i loro interrogativi, col loro bisogno di vedersi ed essere viste, di relazionarsi con gli altri e con il loro corpo. Di superare lo stereotipo che li rinchiude nell’immaginare le sole necessità materiali e pensare alla disabilità anche attraverso altre categorie.

DURATA

Un anno solare con possibilità di accesso al CDD concordandolo di volta in volta con i Responsabili, per dare la possibilità di creare relazioni e instaurare un rapporto di fiducia, cercando di superare le possibili iniziali diffidenze.

Narrare la normalità di tutto il giorno e di tutti i giorni, in quella che il mondo considera assenza di normalità.

 

Gruppo Culturale “I Cünta Sú”