[Introduzione di Ernesto Miramondi]

                                                           [Foto di Ernesto Miramondi]

“Spesso ho necessità di fare il punto su cosa può essere inteso come cultura oggi.

In una società come la nostra, dove accade spesso che gran parte del sapere non è patrimonio dell’individuo ma è veicolato dalla rete, il concetto stesso di conoscenza che valenza ha?

D’altra parte non si può certo negare che il mezzo informatico ha grandemente potenziato le possibilità individuali di intervento connettendo l’individuo ad sistema che adotta sempre più mezzi conoscitivi collettivi.

Abbiamo la possibilità di accesso ad un gran numero di dati, esperienze, fatti, opere e profili di uomini e donne grandi e piccini e purtroppo la conoscenza si limita a questo. Ad un breve assaggio di un qualcosa senza approfondimento, senza analisi, senza una crescita vera, profonda.

E così accade che, in un mondo ad alta densità di informazione, l’informazione stessa diventi inquinante.

Accade che non vi è grande distinzione tra un pensiero costruttivo e una frase tratta dal fogliettino racchiuso in un biscotto della fortuna.

E anche se fosse un pensiero costruttivo questo manca di radice. Viene decontestualizzato. Viene manipolato per diventare altro. Un fiume di notizie troppo vasto per poter essere approfondito. Un insieme di verità vere, false e mezze verità sapientemente costruite ma anche fuori controllo a determinare una realtà del tutto virtuale.

Destabilizzante perché mancano i costrutti essenziali della logica per poter affermare se una cosa è reale o no.

Influenzante se gli artifici usati sono ben congegnati. E lo sono!

Ma è pur vero che non possiamo certo fare a meno di un mezzo formidabile com’è la rete. Ed è qui che entra in gioco un modo di essere e fare cultura.

Nessuna ricetta esoterica sia chiaro. Solo la grande accortezza di accedere alla conoscenza sempre e solo in modo critico, in luoghi sicuri. Farla propria e approfondire il più possibile.

Imparare a gestire la multimedialità facendo in modo che essa diventi uno strumento di cultura proattivo non antagonista ma da unirsi ad altri strumenti. Difendendo e coltivando il diritto alla cultura. Perché la dove esiste la conoscenza trova posto la consapevolezza e l’autodeterminazione. Quella vera non quella indotta. Parafrasando una frase del ’68..  “Ora e sempre resistenza.. Culturale”

      RESISTENZA CULTURALE  [di Giovanna Volpi]

                                                                                             [Foto di Ernesto Miramondi]

Durante questo lungo anno di pandemia la cultura si è trovata, non volendolo, a fare un atto di resistenza: scuole a singhiozzo, musei chiusi, teatri fermi, sale cinematografiche per forza vietate, orchestre, set di cinema e compagnie teatrali inattive. E fermi anche i servizi di sostegno dopo la scuola, i gruppi di aggregazione, la musica, i corsi d’arte, di lingue, i corsi in generale.

            [Foto di Ernesto Miramondi]

La resistenza ha preso forme molteplici, ognuno di noi si è ingegnato come ha potuto per non perdere ciò che amava e la tecnologia ci è venuta in soccorso: i servizi streaming di cinema e teatro ci hanno accompagnato come puntelli insostituibili, il webinar è stato lo strumento con il quale siamo rimasti in contatto con i nostri insegnanti e la didattica a distanza ha messo alla prova l’eroismo e la pazienza di professori, studenti e genitori.

Solo la cultura ci può salvare: cultura come informazione, prima di tutto, poiché solo se conosco posso davvero scegliere. Nell’assenza di relazioni, di spazi, di sfoghi mentali, la cultura ha svolto un ruolo indispensabile. Non siamo ancora davvero fuori da questo momento durissimo ma cominciamo a vedere l’orizzonte: la resistenza ha bisogno di speranza.

Stiamo ritornando (con meno cautela, forse, del necessario) a quella che consideriamo la ‘normalità’ eppure quello che mi chiedo è se questa pandemia ci abbia o ci stia insegnando qualcosa, o meglio, se quando saremo nuovamente nel meccanismo tritatutto del nostro ‘normale’ saremo in grado di cambiare qualcosa nella nostra routine, poiché è questa routine cieca che ci ha portato a questo punto.

La resistenza si impara a scuola, quando si cerca di sopravvivere a un insegnante ottuso che non è in grado di farci amare la materia che insegna. Se incontriamo, al contrario, un insegnante che pare avere il fuoco dentro, per un attimo sogniamo di diventare chimico, astronauta, fisico nucleare o addirittura insegnante noi stessi.

[Immagine tratta dal Web]

L’Enciclopedia degli asini, di Serge Bloch (e altri autori), Rizzoli, 2008 (21 euro) è un libro che ci ricorda che la scuola non è stata gentile con molti ragazzi e ragazze, ragazzi che, però, hanno incontrato qualcuno lo stesso sulla loro strada, qualcuno che ha creduto in loro, oppure ragazzi che, con la sola forza di volontà, con un estremo atto di resistenza mentale oltre che culturale, sono diventati i più grandi tra i grandi. 

Albert Einstein, per esempio, o Charles Darwin, Pablo Picasso, Claude Debussy e persino Walt Disney. Quasi tutti maschi, una sola donna inclusa: Agatha Christie. Forse le ragazze soffrono più dei maschi della sindrome di Hermione Granger, o forse la Storia non le ha calcolate per una serie di dibattute ragioni.

La modernità appartiene non a un genere ma alla qualità della nostra conoscenza: la differenza tra chi conosce e chi non può o non vuole conoscere è la misura della nostra attuale civiltà. Resistere (o ‘reggere’) è, allora, un atto di generosità e di apertura.