[di Ernesto Miramondi]

PAROLE LIBERE

                                                                  [Foto di Ernesto Miramondi]

Persona straordinaria Lia Sacerdote, presidente dell’Associazione “BambiniSenzaSbarre”, responsabile dell’attività psicopedagogica e di formazione della relativa Scuola Relais, da sempre impegnata su mille fronti, ha dato e continua a dare un contributo enorme per la difesa dei diritti dell’infanzia, dei bambini e dei ragazzi figli di detenuti; la sua associazione è da sempre un presidio attivo contro l’isolamento di cui molto spesso essi sono vittime.

Tutto questo nel corso di un processo di crescita organizzativa così ampio da coinvolgere collaborazioni nazionali ed europee sia a livello istituzionale che territoriale, mantenendo sempre come elemento fondamentale la Convenzione dei Diritti per l’infanzia a cui fa riferimento la Carta dei diritti dei figli di genitori detenuti, la prima in Italia e in Europa, firmata nel 2014 da Bambinisenzasbarre insieme al Ministro della Giustizia e al Garante nazionale Infanzia Adolescenza.

Un lavoro portato avanti con tenacia, capillarità e certosina pazienza, che ha dato i suoi frutti portando l’Italia ad essere un paese pilota per molti degli aspetti che regolano i rapporti tra i genitori carcerati e i loro figli.

Una realtà carceraria vista “come mondo di dentro” da parte dei bambini che vanno a trovare un genitore, da sovrapporsi alla realtà esterna, il “mondo di fuori”, vissuto molto spesso con un senso di isolamento, di angoscia nei rapporti interpersonali tra coetanei. A misurarsi con la diffidenza, che è figlia del pregiudizio e che condanna ingiustamente bambini innocenti, stabilendo a priori quello che dovrà essere il loro destino.

Quindi un grande lavoro culturale anche sui temi del linguaggio, capace di generare un punto di vista diverso, una mano amica che aiuta genitori carcerati e figli nella ricerca di spazi e contenuti idonei, mantenendo fede all’art. 9 della Carta dei Diritti dell’infanzia, garantendo sì la continuità del rapporto ma anche intervenendo sulla bontà degli incontri stessi, con un processo di crescita e responsabilizzazione sempre più puntuale.

Lavorare per permettere ai ragazzi di sentirsi liberi, padroni di sé. Dar loro gli strumenti per sapersi raccontare senza tema di essere additati come “figli di delinquenti” acquisire la consapevolezza

che il destino è ancora tutto da costruire, vuol dire poter avere le ali e togliere manovalanza alle organizzazioni malavitose di qualsiasi specie e ordine.

                                   [Foto di Ernesto Miramondi]

[Ernesto] Ciao Lia, in primis grazie di cuore per averci accordato questo tuo tempo, noi Cünta Sú ci sentiamo onorati di poterti avere a piazza Enfleurance.  

Tu e l’Associazione “Bambinisenzasbarre” siete da anni impegnati sul fronte dei diritti per l’infanzia e dei difficili rapporti che legano il sistema carcerario, per sua stessa natura rigido, con il mondo dei bambini e dei ragazzi figli delle persone recluse.

Vorremmo capire meglio “lo spazio giallo” all’interno degli istituti penitenziari, non solo come luogo fisico ma anche per tutto ciò che gli ruota attorno. Le vostre iniziative, tra cui gli incontri che volete organizzare con le scuole, assieme ad altre organizzazioni che vi hanno supportato o sono spesso state compagne di viaggio quali ad esempio la rete Lombarda delle biblioteche.

[Lia] Abbiamo deciso di uscire dal carcere per entrare nelle scuole con un intervento strutturato. Avevamo ovviamente già avuto contatti con la scuola, attraverso i ragazzi che seguiamo. Ed è proprio attraverso questi contatti che abbiamo capito che questi ragazzi hanno bisogno di sentirsi inclusi, non esclusi a priori.

E questo è possibile attraverso un lavoro di informazione, rispondendo anche alle richieste del corpo insegnanti, su cosa significhi avere un genitore in carcere, un’esperienza vissuta in solitudine per non poterla condividere pena l’emarginazione dal gruppo dei pari.

           [Elaborata dal sito delle biblioteche Lombarde]

Purtroppo quest’anno ci è stato portato via completamente per via del Covid19 ma la collaborazione con il servizio biblioteche del Comune di Milano con l’iniziativa “Tempo di legalità” ci ha consentito di far conoscere l’iniziativa “Spazio giallo per le scuole” e la proposta laboratoriale prevista per l’anno scolastico 2021-22

Facendo un’analisi introspettiva su quasi vent’anni di lavoro posso dire per esperienza che, attivato un processo, anche se tutto sommato in forma abbastanza libera, però con contenuti precisi, questo poi avanza e cresce diventando poi un flusso un canale di azioni e proposte che favorisce poi la nascita e la navigazione delle nuove idee e delle proposte solutive ai problemi.

Certo noi seguiamo un tema forte, difficile, come solo può esserlo il tema dell’infanzia a contatto con il sistema carcerario. E’ anche una questione di equilibrio, non bisogna esagerare con un eccesso di proposte perché in qualche modo viene a cadere la delicatezza dell’intervento.

Analizzando il nostro operato negli spazi carcerari nel corso di tutti questi anni, l’errore, quando si interviene sull’infanzia è quello di pensare che serve di tutto e di più; si passa dai Clown all’animazione a mille altre cose. Questo va certamente contrastato. Occorre fare ciò che aiuta i ragazzi ad alleviare l’impatto con una realtà difficile ma con interventi che considerano la loro capacità di comprendere ciò che è vero da ciò che è posticcio e che rischia di rendere quella realtà ancora più minacciosa perché simulata.

[Ernesto] Credo di capire cosa vuoi dire. Quanto viene fatto deve essere percepito come vero e deve essere necessario, servire davvero alla situazione e al momento. In particolare poi in situazioni come quelle dei ragazzi che, attraverso un percorso obbligato, vedono il mondo mutare drasticamente ospiti di passaggio in un mondo alieno. Sono nel luogo dove vive il loro papà o la loro mamma e devono farsene una ragione.

Devono digerirlo. E il vostro intervento nel corso degli anni ha permesso di trovar loro uno spazio, libero il più possibile e meno alieno, un luogo e un momento dove aprirsi affettivamente con il genitore detenuto. Quello che viene chiamato “Lo spazio giallo” e personalmente trovo che il vostro lavoro sia stato davvero grande.

                        [Elaborazione dal sito di BambiniSenzaSbarre]

Avendo noi, come Cünta Sú, lavorato in situazioni dove il punto di vista ha fatto e fa tutt’ora la differenza ne capiamo appieno tutte le implicazioni e le difficoltà. Questo sia all’interno del carcere con lo “Spazio Giallo” ma anche fuori degli istituti di pena.

Lavorare per la ricerca costante di forme di linguaggio che sanno cucire le divisioni, estirpare le idee preconcette e fornire basi solide contro l’isolamento. E, per quest’ultima cosa, importante l’azione di aprirsi alle scuole.

A tal proposito ci piacerebbe come Cünta Sú esservi d’aiuto magari con il nostro Fotoemozionando. Un progetto mix che attraverso tecniche di animazione, l’uso di un paio di macchine fotografiche date in mano ai bambini, pochi rudimenti fotografici si giunge a dilatare lo spazio in quanto si perde la dimensione dello spazio chiuso, stantio, ma anche la percezione del tempo che scorre.

[Lia] Perché no? Con noi lavora ormai da una decina d’anni una coppia di “arteterapeuti” molto capaci e che svolgono un lavoro estremamente delicato attraverso il disegno con il quale i bambini riescono ad esprimere ciò che con le parole è troppo difficile.

Speriamo che ora gli Istituti di pena, dopo la lunga pausa Covid19, riaprano. Negli Istituti esistono anche le aree verdi, dove, all’aperto si riescono a fare più cose. E la vostra potrebbe essere una di queste.

Anche se va detto che le macchine fotografiche sono uno degli oggetti proibiti in carcere e quindi diventano quasi un oggetto del desiderio proprio per il bisogno di fotografarsi, di “scolpire” da qualche parte il senso dell’incontro. Noi possiamo essere autorizzati e quindi si potrebbe pensare a un laboratorio.  Vanno ovviamente strutturate una serie di misure legate alla privacy.

[Anna] Costruire qualcosa che resti a loro come momento speciale. Per il genitore quando rientra in cella a fine colloquio, per il bambino per dare un senso e una continuità alla giornata vissuta. Momenti speciali e, perché no???! anche piccoli, brevi, rudimenti di fotografia che aiutano ad esprimersi, a comunicare attraverso l’uso della fotografia.

[Lia] Grande strumento la fotografia così come l’immagine, i segni grafici e lo straordinario mondo dei colori. Già da qualche anno, nell’istituto di Opera, abbiamo sviluppato un laboratorio che ha per titolo “Il poliziotto e il dinosauro” dal nome di un disegno fatto da un bambino. Si tratta di un progetto dove i figli rimangono per due ore con i papà seduti ad un grande tavolo, a disegnare, senza la presenza della mamma che li ha accompagnati.

Un tempo riservato solo a loro, per ritrovare attraverso un’attività creativa la relazione col proprio padre di cui hanno perso i gesti naturali della quotidianità spesso con poche parole, ma a parlare sono i disegni, i colori che danno la luce del mondo di fuori al mondo di dentro.

Sono progetti, svolti in luoghi diversi, meno grigi, rispetto alle convenzionali sale colloquio. Luoghi dedicati ad altro, allo studio o alla lettura e i bambini, si sa, gettano scompiglio ma anche allegria.

Ci si abitua alla loro presenza alle loro voci, così inusuali in quei luoghi, senza contare che quei bambini poi non vogliono più incontrare i genitori nelle normali sale colloqui. Ora ci stiamo preparando all’impatto del rientro in carcere dei bambini post pandemia perché un anno e mezzo di buco non è facile da gestire. Il Carcere non è un luogo facile.

             [foto di Anna Roberto]

[Anna] Arriviamo alla Carta dei diritti dei figli di genitori detenuti, che avete firmato nel 2014 con il Ministro della giustizia e la Garante Infanzia, rinnovata nel 2018 e diventata europea nello stesso anno. Ma, quanto di tutto questo è davvero consolidato? Lo spazio giallo è una realtà solo là dove siete riusciti ad entrare, dove magari vi è la presenza di direttori illuminati o invece è qualcosa di generalizzato ovvero una prassi consolidata in tutti gli istituti di pena?

[Lia] Il processo di adeguamento è in atto, il modo di operare è in continuità con l’art. 9 della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza che dà le direttive in materia di non separazione dei fanciulli dai loro genitori.

Di fatto la Carta descrive una serie di raccomandazioni, otto articoli, che riconoscono i bisogni dei bambini e ragazzi che entrano in carcere per incontrare i genitori e che questa Carta trasforma in diritti.

Il primo articolo invita a privilegiare la misura alternativa al carcere quando si tratta di genitori e questo è stato possibile scriverlo, “suggerirlo” ai Magistrati solo perché l’ha firmato il Ministro della Giustizia.

In Italia ci sono circa 60.000 persone detenute dentro e circa 60.000 persone fuori che sono sottoposte alla misura alternativa, un orientamento pilota dell’Italia che si spera possa consolidarsi.

Il carcere anche da un punto di vista etico può essere visto come un luogo da cui uscire e magari dove si può anche non entrare. Esistono misure come la “messa alla prova” che è un presidio che nasce nel carcere minorile e che ha proprio una funzione alternativa alla detenzione. Adesso un ragazzo va in minorile proprio in extrema ratio.

Quindi tutta questa parte della carta funziona bene ed è molto importante.

Gli altri articoli si sviluppano sull’accoglienza in carcere dei minori, l’istituzione carcere si rende consapevole di questa presenza adeguandosi di conseguenza.

Ci si potrebbe chiedere cosa è cambiato. Cosa cambia. Il fatto importantissimo è che delle regole sono state scritte, e questo cambia tantissimo le situazioni. Delle raccomandazioni diventano diritti, e quindi, indipendentemente dalla sensibilità degli operatori più o meno marcata verso la questione, diventano un fattore di professionalità.

Gli stessi agenti di polizia penitenziaria i cui compiti sono altri, nel momento in cui devono occuparsi dell’accoglienza dei bambini, loro malgrado, diventano degli educatori. Che vuol dire usare opportuna attenzione, non vuol dire sorridere, ma vuol dire sapere che i bambini ci guardano.

Per poi rispondere alla tua domanda, dopo diversi anni dalla firma di questa Carta, siamo riusciti quest’anno, prima del lock down, ad avviare un progetto nazionale con partner il Ministero di Giustizia e la Garante Nazionale per l’infanzia Questo progetto come compito ha quello di monitorare l’applicazione della Carta e consentire l’apertura di spazi gialli là dove non ce n’erano ancora. Attualmente sono Piemonte, Lombardia, Veneto, Toscana, Campania, Marche, Puglia Calabria e Sicilia.

Mettiamo in rete da Nord a Sud 17 Istituti penitenziari e 10 regioni stiamo facendo un lavoro davvero rilevante.

Possiamo proprio dire che siamo proprio dentro questo processo attivato e possiamo proprio dire che è attivato dalla Carta. Che poi diventa punto di riferimento sia per chi ha a cuore l’infanzia, sia per chi ha a cuore l’adulto perché i rispettivi diritti non dovrebbero confliggere, mentre invece nei penitenziari, può accadere e dobbiamo lavorare perché si sostengano reciprocamente.

Anche se poi si trovano punti di incontro ed è su quelli che stiamo lavorando. Noi lavoriamo sui temi degli affetti e sulla protezione del legame che poi è la chiave per coniugare i diritti dell’infanzia e degli adulti.

Diventa chiave di crescita anche per il genitore detenuto sul tema della responsabilità anche se richiede un grosso lavoro di consapevolezza individuale.

[Anna] Si parla di bambini, anche molto piccoli, di due, tre anni, qualcuno più grande ma non di adolescenti e si parla dei papà ma non delle mamme detenute. Forse perché le mamme sono molto meno e forse è anche più difficile coinvolgere un adolescente con un papà o una mamma in carcere?

[Lia] In realtà non abbiamo limiti di età Ma i bisogni sono diversi. I bambini piccoli hanno maggior bisogno di continuità, di vedere spesso il genitore. Più l’età cresce e più i ragazzi fanno fatica a venire.

Perché hanno i loro interessi, lo sport, il calcio e tante altre cose e questo va fatto capire ai genitori che, rispettando le esigenze dei ragazzi, necessariamente si riduce la cadenza delle visite ma cresce di più il valore e la qualità dello scambio.

Anzi, con l’ampliarsi del nostro progetto, notiamo che i ragazzi, adolescenti, chiedono molto più spesso di poter vedere il genitore, papà o mamma, da soli.

Viene a crearsi un momento di riservatezza che fa aumentare di molto la qualità e il significato stesso dell’incontro. Va bene il tema famigliare ma spesso per gli adolescenti c’è il bisogno di un colloquio riservato che avvalora il ruolo e la responsabilizzazione del genitore recluso.

E per questo i ragazzi chiedono di entrare da soli. Poi comunque devono essere accompagnati nel tragitto, ci sono le varie autorizzazioni ma il passo importante è stato raggiunto.

Per la questione mamme detenute, noi siamo nati al femminile a San Vittore, con i bambini che vivevano al nido e quindi è un tema che ci portiamo dietro dall’inizio. Fortunatamente, non sono più i numeri del passato. Oggi i bambini che vivono con la mamma all’interno del carcere sono solo trenta rispetto ai 70 di una volta.

[Anna] Infatti, bimbi piccoli che vivono con le mamme fino ai sei anni e successivamente vengono separati. Lo trovo a dir poco traumatico!

[Lia] In realtà ci sono oggi delle leggi che pur ancora in via di miglioramento, consentono ai bimbi piccoli di stare con la mamma ma fuori dal carcere.

Infatti dalla legge Finocchiaro del 2002 si è assistito ad una ormai ventennale evoluzione, evoluzione che ancora continua, infatti in Commissione Carcere è in attesa una proposta di legge. Ciò nonostante, non si riesce a risolvere. E questo perché il carcere rassicura tutti, comunque.

Dunque c’è finalmente una legge che dice che una mamma che ha un bambino fino ai sei anni, non deve andare in carcere e se è in carcere deve essere liberata. Salvo situazioni di gravi pregiudizi o di reati gravi.

Di fatto si presta a diverse interpretazioni e il decreto attuativo è risultato pieno di ambiguità per cui questi trenta bambini sono ancora in carcere.

Alcuni sono al nido altri in una misura chiamata “carcere attenuato”. Quello che la legge ha consentito è stato l’apertura di quattro carceri attenuati. Uno a Milano, uno a Torino, uno a Venezia e uno a Napoli.

E poi vi è la possibilità di stare in casa famiglia. In Italia ce ne sono attualmente due una a Milano e una a Roma ma sono stati stanziati dei fondi per nuove case famiglia, gestite dagli Enti Locali

E però, ancora ora, il femminile lo seguiamo con grande attenzione. La mamma è baluardo per il bambino in molte cose. Infatti se manca la mamma il bambino o sta in famiglia o sta in istituto. Di fatto tutto è più complicato, e grave sotto alcuni punti di vista.

Quello che avviene con un papà detenuto è una situazione importante, ma diversa. Esiste poi tutto il tema delle mamme che sono fuori e che devono farsi carico di tutto, le famiglie che sono sole e non possono raccontare perché non devono dire dove sta il papà perché appunto manca la solidarietà e l’inclusione che invece è quello che dovrebbe accadere.

                   [Foto di Anna Roberto]

[Anna] Sì, infatti. Un bambino per crescere libero non deve sentirsi la vergogna addosso, deve potersi sentire accettato ma tutto ciò può avvenire proprio facendo un lavoro con le scuole per aumentare la comprensione e di conseguenza generare inclusione.

Anche con le maestre, che a loro volta devono essere aiutate e professionalizzate anche per sapere come gestire la situazione. Sarebbe un grande passo verso i valori della solidarietà perché il bambino non si sentirebbe etichettato. Di fatto ancora oggi è un tabù avere un genitore in carcere.

[Lia] Assolutamente vero, infatti uno dei bisogni di questi ragazzi è proprio quello di poter raccontare di sé e della propria famiglia. E per questo è necessario che si attivi nella società un processo di cambiamento culturale. I laboratori diventano per i ragazzi anche una possibilità di poter raccontare, poter dire, ho fatto questo con il mio papà. E non è necessario dire l’ho fatto in carcere ma poterlo fare, a scuola, con gli amici, significherebbe che qualcosa sta cambiando.

[Anna] Di fatto i bambini che vivono una loro vita relazionale sono poi costretti a nascondere un “segreto” che potrebbe anche non essere un segreto. Perché i bambini, specialmente quelli piccoli sono privi per loro stessa natura di tabù.

[Ernesto] Infatti, negli atteggiamenti dei bambini, nessuna diversità è davvero tale. Lo diventa in seguito con le limitanti discriminazioni poste dai grandi.

E devo dire che molto sta mutando nel modo di vedere le cose di quest’ultima generazione di adolescenti. Più aperti dei loro predecessori, anche se di pochi anni più giovani, meno circospetti e senza particolari distinzioni per il colore della pelle, gli orientamenti sessuali o altro.

C’è del buono in tutto ciò e senza ombra di dubbio può essere fatto un buon lavoro nelle scuole sui temi dell’inclusione anche nei confronti dei figli di genitori reclusi.

Essere capaci di cambiare il punto di osservazione. Dimostrare che la realtà, così come appare, come viene interpretata dalla consuetudine, può essere solo uno dei tanti modi di vedere, magari neanche il migliore.

Sicuramente esistono altri punti di osservazione più giusti, più utili a non disperdere, a non regalare braccia armate alla criminalità. In particolar modo là, nelle zone dove spesso il 60% della popolazione presenta un genitore carcerato.

Per cambiare il punto di osservazione sono importanti le leggi che vanno sempre più affinate ma è anche importante acquisire un linguaggio nuovo che parli di solidarietà, inclusione e pari opportunità.  Tutto ciò è un gran lavoro per nulla facile ma possibile con l’aiuto della scuola, e luoghi istituzionalmente già collaudati come appunto le reti bibliotecarie e altro ancora.

[Anna] State facendo un lavoro immenso.

[Lia] Bhe.. diciamo che non possiamo cambiare. Non potrebbe essere altrimenti. Fa parte del nostro DNA. Ora purtroppo devo abbandonarvi ho un’altra riunione.

[Ernesto] E noi ti ringraziamo con tutto il cuore. Per il tuo tempo che ci hai donato e soprattutto per quanto da te detto. Grazie Lia.

[Anna] Grazie Lia e a presto.

[Lia] Grazie a voi e a presto.