[Da un nuovo racconto di Antonella Marsiglio]

 

..“Una rotonda sul mare il nostro disco che suona”..

la televisione lasciata distrattamente accesa in una serata troppo calda, sintonizzata su un programma estivo di ricordi … è venerdì sera, il venerdì di luglio in cui tanti occhi guaderanno il cielo per ammirare l’eclissi di luna, i miei pensieri mentre lavo i piatti sono improvvisamente interrotti dalle note di una vecchia canzone, quella canzone che cantavi sempre tu, chissà a chi la dedicavi, chissà chi sognavi con tanta malinconia dopo una vita ingiusta che ti ha dato troppi dolori e pochissime gioie. Il tuo ricordo è sempre vivo in me e il cuore si riempie di orgoglio quando chi guardando le tue fotografie mi fa notare quanto ti assomiglio. In questi giorni mi sto imponendo di non pensare troppo a te..  perdonami mamma, non è perché ho deciso di chiudere con il passato, tu sarai sempre parte di me, la parte migliore di me, ma è a maggio di tanti anni fa che ti fu diagnosticato un tumore al seno, ed è a maggio di quest’anno che mi sono accorta che qualcosa non andava. Non non posso fare a meno di ricordare che quel maggio fu l’inizio degli ultimi mesi con te, senza neanche rendermene conto abbasso lo sguardo nella scollatura della canotta un po’ troppo attillata da dove fa capolino il livido lasciato dalla biopsia: seno destro, proprio come per te, istintivamente con le mani ancora bagnate cerco di sollevare un po’ il leggero tessuto bianco per coprire alla mia vista la macchia blu, come se a non vederla la paura potesse scomparire.

[Elaborazioni grafiche Ernesto Miramondi]

Io e te così simili … io e te così diverse!

Tu solare, coraggiosa, sognatrice e ottimista.

Io che mi nascondo dietro ai miei silenzi, così razionale da non sognare e non sperare mai per non rimanere delusa, io che dopo la mammografia quando mi hanno chiamata, per trovare il coraggio di proseguire gli esami sono stata seduta sulla poltrona del mio analista per più di un’ora trincerata in un silenzio assordante, ribellandomi solo nel tentativo di difendermi da un discorso che non avevo il coraggio di affrontare.

“prima dell’esito potrebbe aiutarla ricordare che è possibile sia benigno”

“se è maligno?”

 “lei lo sa che se preso in tempo ci sono il novanta percento delle possibilità che…”

 “e se non sono in tempo?  dottore dopo due anni lo sa anche lei che non sono poi così tanto fortunata”

“affrontiamo la cosa giorno per giorno, se è maligno si valuterà..”

Smetto di ascoltare trattenendo a stento il desiderio di urlare: affrontiamo???? Si valuterà???

“AFFRONTIAMO”   è una parola che in questo momento odio. La chemio, l’operazione …. IL TUMORE si declinano tutti al singolare e non esiste un plurale in questa angoscia che a stento mi permette di respirare. Parole che dico solo dentro me ma che probabilmente sa che sto pensando; in questo momento non ho voglia di essere razionale, voglio pestare i piedi e fare i capricci come una bambina convinta che nessuno potrà risolvere il problema del suo giocattolo preferito rotto, ma sicura che il broncio attirerà abbastanza l’attenzione tanto da averne uno nuovo. E in questo momento il mio giocattolo nuovo è poter cambiare discorso.

Tu mamma non hai mai fatto capricci, tu hai sempre combattuto coraggiosamente a testa alta.

[Foto doi Anna Roberto]

Ricordo l’ultima settimana, ti tenevo la mano e tu con un sorriso grave mi hai detto senza lacrime “sto morendo, ormai manca poco” e io ti dicevo che non era vero, che erano le cure a farti sentire così stanca, non mentivo a te, mentivo a me. Il nostro tempo insieme non poteva essere già finito. Ma tu mi conoscevi meglio di quanto io potrò mai conoscere me stessa in tutta la vita, e hai proseguito con il tuo testamento emotivo “non cambiare mai per nessuno, rimani la donna che ho visto crescere: altruista, buona, un po’ pazza e ribelle, sicuramente testarda”

Ma dopo un grande dolore si cambia.

Io sono diventata un’esperta in silenzi che tiro su come muri per difendermi dalle persone che mi amano: Io sono una superstite, io ho amato tanto qualcuno che se ne è andato lasciandomi sola e non posso accettare di lasciare qualcuno come tu hai lasciato me.

Si, sono cambiata.

Io non abbraccio frequentemente, io dico pochi ti voglio bene e ancora meno ti amo

Io sto al buio in compagnia dei miei gatti e alla domanda “come va oggi?” rispondo sempre “BENE”

Io entro alle visite mediche da sola perché so cosa vuol dire stare seduta sull’altra sedia.

Si, sono cambiata.

Vesto di nero, non mi aspetto nulla dalla vita, e a chi mi dice di smettere di fumare con rabbia rispondo che non è affar loro, già, perché io a fumare ho iniziato il giorno del tuo funerale come a voler urlare al cielo “e ora prenditi anche me” ma ancora non sapevo cosa significasse fare i conti con la paura di morire.

Sono cambiata così tanto che un giorno guardandomi allo specchio mi sono dovuta presentare a me stessa, non mi sono mai più diventata amica, diciamo che mantengo più che altro un rapporto di buon vicinato.

E mentre faccio questo viaggio attraverso la mia coscienza mi sembra di averti un po’ tradito, come quando nell’ambulatorio bianco delle biopsie ho dovuto familiarizzare con i miei mostri, ed anche li mi è stato chiaro che non avrei mai avuto tutto il tuo coraggio….

“allergie a medicinali?”

“che io sappia no”

“ha già fatto delle sedazioni? Tipo dal dentista?”

“si”

“fuma?”

“si”

“quante sigarette?”

Rimango in silenzio, mi rendo conto che non posso mentire, ne dico qualcuna in meno

“familiarità con il tumore al seno?”

“mia madre, ci è morta”

L’infermiera che mi prepara alla sedazione mi prende la mano e me la stringe, è evidente che questo mi spaventa più di ogni altra cosa.

“le hanno già spiegato l’esame come si svolge?”

“lo conosco”

“adesso la sediamo, poi io comincio, se però sente male me lo dice che aumentiamo il dosaggio dell’antidolorifico”

Sento male ma rimango zitta e immobile, in quella stanza buia, l’infermiera continua a tenermi la mano.

“ancora pochi minuti e abbiamo finito”

Non rispondo, quasi come se ormai tutto questo non riguardasse più me ma si stesse parlando di altri; ora inizia l’attesa che è più dolorosa dell’esame, e   purtroppo non esiste nessuna sedazione per questo tipo di dolore.

Si accende la luce l’infermiera mi medica, mi aiuta a rivestirmi e mi mette il ghiaccio.

“aspetti fuori venti minuti, le controllo la medicazione e poi può andare ma oggi stia a riposo”

Mi restituisce le mie cartelle mediche e io fisso per qualche secondo la scritta “..16 mm dai contorni non regolari..

“una rotonda sul mare il nostro disco che suona… vedo gli amici ballare ma tu non sei qui con me.”

La canzone è finita e una voce mi riporta alla realtà, scuoto la testa come se ciò bastasse a cancellare i pensieri

“tutto bene?”

“si”

“forse parlarne un po’ ti aiuterebbe … ci aiuterebbe”

“per questo tipo di consigli vado già ogni martedì dallo psicologo”

“siamo in tanti a volerti stare vicino in questo momento ma tu non ce lo permetti”

“lo sapete che sono fatta così”

“quindi discussione chiusa? Io sono fatta così, prendere o lasciare? E chi se ne importa di chi è obbligato al ruolo di spettatore”

La risposta muore in gola prima di uscire, non esce la voce e non escono le lacrime, solo silenzio.

Come si può spiegare la paura?

 Come si fa a chiedere alle persone che ami: “se è tardi?  se è finita?”

Perché è di questo che vorrei parlare, queste sono le domande a cui vorrei dare una risposta. Odio ferocemente il buonismo delle risposte come “vedrai che andrà tutto bene” “tu devi pensare positivo” “vedrai che non è niente” reprimo a gran fatica il bisogno di urlare: “come andrà tutto bene? Ma ascolti veramente quello che dici? Hai la palla di cristallo? Non lo sanno ancora i medici ma tu sai già che andrà tutto bene? Devo pensare positivo? Vai al cimitero, vai a trovare mia madre e poi torna qui a dirmi che devo essere ottimista, perché io so come si muore di tumore al seno, tu invece??” vorrei urlare “ma certo siamo tutti ottimisti, andrà sempre tutto bene e al diavolo la prevenzione, tanto ANDRA’ TUTTO BENE A TUTTI”

Anche se fino ad ora sono riuscita a mantenere un minimo di equilibrio mentale e mi sono sempre trattenuta da certi sfoghi abbozzando sorrisi, il mio analista deve aver percepito la rabbia visto che sul comodino ho due libri che trattano la meditazione zen da lui consigliatimi (che non ho ancora letto perché mi saltano i nervi quando qualcuno mi invita alla calma mentre sono arrabbiata e questo anche quando sono dei libri a farlo). Va bene, visto che ho trovato il coraggio di parlare lo dico, trovo veramente indelicato sminuire la paura di una persona con frasi che forse vorrebbero essere di incoraggiamento ma personalmente mi fanno sentire trattata come una che si inventa le malattie; è vero, un sospetto non è una diagnosi, ma quando per quel sospetto devi entrare in un reparto di oncologia dentro di te la vita inizia a cambiare, inizi a fare i conti con l’idea che questa cosa stia accadendo proprio a te, e mentre a passi lenti cammini per i corridoi del reparto ti accorgi del silenzio nelle camere dei degenti, rotto qualche istante prima di entrare nello studio dell’oncologo da una superstite gentile, che con un sorriso dipinto sul volto ti rivolge un sincero “in bocca al lupo” .

Come spiegare alle persone il dolore infernale tra cuore e mente che divora ogni istante l’anima?

“se muoio ti prenderai cura dei miei gatti? Lo so che sono viziati ma sono la mia vita”

Con questa frase ho comunicato alla mia migliore amica che dovevo fare la biopsia, lei mi ha guardato seria e mi ha risposto semplicemente “si”

Lei lo sa che non sono diplomatica, lei sa che ogni dialogo che inizia con “dobbiamo parlare” non porta mai a nulla di buono,e  sa anche che dietro ai miei silenzi l’unica cosa che nascondo è la paura, non condivide ma accetta.

[Ernesto Miramondi, documenta la mostra di Beatrice Chiodini “Donne in mostra contro il cancro]

Ogni dolore alla fine è un lutto da superare, e ogni lutto da superare ha la stessa regola

NEGAZIONE

RABBIA

NEGOZIAZIONE

DEPRESSIONE

ACCETTAZIONE

Io per ora resto ferma alla rabbia.