MILANO CATENA UMANA E MUSICALE PER GIUSEPPE PINELLI

Testo e foto di Ernesto Miramondi

50 anni.

Mezzo secolo è un tempo infinito.

Piazza Fontana, Banca dell’Agricoltura, uno scoppio che ha riempito l’aria di un cupo terrore, straziato corpi e coscienze. Diretta conseguenza a quell’orrore in cerca di colpevoli, la morte di Pinelli, venuto giù da una finestra della Questura di Milano durante un interrogatorio ormai fuori da ogni regola e nel quale non erano riusciti a contestargli nulla.

Morti dolorose che colpivano la città di Milano per l’efferatezza dei gesti. Difficili allora da interpretare, difficile acquisire la consapevolezza che qualcuno nell’ombra, in modo scientifico, metodico, avesse deciso con estrema freddezza la morte atroce di persone innocenti. La consapevolezza che qualcuno nell’ombra volesse innescare un clima di terrore per uccidere la democrazia e il desiderio di crescita di un popolo che voleva crescere, studiare, apprendere ed emanciparsi anche nella condizione sociale.

Difficile acquisire consapevolezza, ma quanto poi è accaduto nei locali della Questura, i fatti che determinarono la morte di Pinelli in quel tragico giorno di cinquant’anni fa, funzionarono da catalizzatore delle coscienze, cominciarono ad instillare il dubbio che la giustizia non fosse poi così uguale per tutti e che gli organi di polizia non fossero solo angeli custodi e paladini della giustizia. E che forse, in fondo in fondo, nonostante una guerra, nonostante i  valori della resistenza, la crescita del dopoguerra, il boom degli anni sessanta, le televisioni, le utilitarie e l’invenzione delle vacanze, forse, in quel non lontano ’69 non si era mai stati davvero liberi e le lunghe mani delle potenze straniere, dei poteri forti, manipolavano la verità e le dinamiche sociali.

La canzone Contessa lo raccontava bene: “Del resto mia cara, di che si stupisce, anche l’operaio vuole il figlio dottore e pensi che ambiente ne può venir fuori, non c’è più morale contessa.”

L’asticella del terrore e della violenza da quel tragico giorno, dalla bomba alla Banca dell’Agricoltura, si era alzata vertiginosamente. Una strategia che voleva dimostrare che le espressioni di destra e quelle di sinistra erano insicure e che la sicurezza poteva venire solo in uno stato di polizia stabile, capace di spezzare le reni a qualsiasi forma ed espressione di libertà che venisse definita “deviante”. Fuori dagli schemi. 

Omicidi di massa come la bomba a Piazza della Loggia, quella alla stazione di Bologna, ma anche gli omicidi individuali, le gambizzazioni, le eccellenze dello stato massacrate. Le Brigate Rosse, Il delitto Moro, I Nar, i nuclei proletari armati, Ordine Nuovo e chi più ne ha più ne metta.

E se è vero che la stragrande maggioranza di quei delitti è rimasta ancor oggi priva di colpevoli è anche vero che le indagini a seguito di tutti quei fatti hanno inequivocabilmente dimostrato la connivenza di alcuni apparati dello stato e dei servizi segreti deviati per nulla all’oscuro dei fatti. Un coacervo di personaggi di dubbia moralità, organizzazioni segrete e poteri occulti. A titolo d’esempio cito l’organizzazione Gladio di natura paramilitare appartenente alla rete internazionale Stay-behind e sotto la sfera di influenza degli Stati Uniti, la Loggia P2, deviata rispetto al suo statuto originario e estremamente attiva nella strategia della tensione e pesantemente infiltrata negli apparati dello stato con intenti criminali.

Ma la defenestrazione di un uomo di quarant’un anni in quella tragica sera del 15 di dicembre ha fatto in qualche modo la differenza, perché ha destato il dubbio nella testa della Milano democratica e non solo di Milano. Ha fatto sì che si alzasse la soglia dell’attenzione e si ponesse come prioritaria la ricerca della verità. Tutta la verità. Il dubbio che restituisce dopo 18 anni a Valpreda, sbattuto allora in prima pagina come il mostro della strage, un senso di dignità.

E per chi ha vissuto quello scoppio non gli sembra che sia accaduto cinquant’anni fa. Un tempo grande.

Perché il ricordo vuol dire mantenere viva e alta la consapevolezza di ciò che è stato.

Lo hanno dimostrato le centinaia di persone che sabato scorso, 14 dicembre, si sono ritrovate per partecipare alla manifestazione indetta tra gli altri da teatro Urbano, Marco Toro prima tromba della Scala, Radio Popolare, l’associazione familiari delle vittime di Piazza Fontana, la famiglia di Pinelli e da numerose corali sia italiane che straniere.

Riconosciuti tra i partecipanti Ricky Gianco, Gad Lerner, Ascanio Celestini e Benedetta Tobagi, le figlie di Pinelli.

Ma il nucleo vero era costituta da chi quello scoppio lo ha sentito cinquant’anni fa come atto troppo orribile per essere semplicemente metabolizzato ed è scesa in piazza ora come allora per proclamare la propria coscienza democratica e antifascista.

Bandiere rosso nere al vento e canzoni d’altri tempi. Canzoni  mai dimenticate e a risentirle ancora così attuali. Così ricche di amore, uguaglianza e appello ad una giustizia universale.

Non si poteva non essere coinvolti.

Avrei voluto vedere una maggiore partecipazione di giovani. Sarebbe stata la cosa più bella. La dimostrazione che nulla sfuma nell’oblio. Un passaggio di testimone a presidio perenne delle verità democratiche.