[di Anna Roberto]

CHI SONO I NUOVI “SPIGOLATORI” NELLA SOCIETA’ DEGLI SPRECHI

    [Due distinti luoghi in cui avviene lo spigolare]

“LA VITA È UN RACCOLTO”

Film-Documentario di Agnès Varda

Titolo originale Les Glaneurs et la Glaneuse, Francia, 2000

“Come quando si vede lo spigolatore camminare passo a passo

per raccogliere le reliquie di quello che cade dietro il trebbiatore”

Joachim du Bellay (1522-1560)

Erano nei meriggi agresti con la schiena china a raccogliere i chicchi sfuggiti alle spighe.

Ora sono nei meriggi urbani con la schiena china a raccogliere i cibi sfuggiti allo spreco.

                            [Foto di Ernesto Miramondi]

Quel che restava un tempo nei campi di grano. Quel che resta oggi nei mercati, nei cassonetti, nei meleti, nei campi di patate. Gli avanzi. Mani che frugano tra ciò che è stato rifiutato.

La spigolatura, quella del passato, è nei quadri di Jules Breton e Jean-François Millet, quella odierna è nella macchina da presa di Agnès Varda, la grande regista belga che col suo tocco intimo, personale e profondo ci ha regalato un cinema libero e indomito.

Con La vita è un raccolto, ci restituisce una cronaca poetica dallo sguardo umanista, sociologico e politico. Ha girato per sei mesi in lungo e in largo per le strade di Francia con una piccola telecamera digitale a mano. Ha camminato alla ricerca degli spigolatori sommersi.

“La spigolatura è di un’altra epoca”, racconta Agnès Varda, “ma il gesto vive ancora nella nostra società”.

Oggi come ieri lo stesso umile gesto, lo stesso movimento schivo e discreto. Non c’è vergogna in quel gesto, né ieri né oggi, solo sgomento, la vergogna non deve appartenere a chi ha fame e l’obiettivo di Agnès Varda ne coglie sempre la dignità dell’atto.

Un tempo erano solo le donne a spigolare. I nuovi spigolatori, invece, non hanno distinzione di genere. Sono giovani, anziani, bambini, uomini e donne, disoccupati, senzatetto, madri sole, persone abbandonate. Ognuno rovista a modo suo, ognuno per motivi diversi, molto spesso per nutrirsi, per sopravvivere, per fame. C’è anche chi raccoglie per etica.

                         [Foto di Ernesto Miramondi]

Un esercito fantasma che esce allo scoperto quando il sipario si chiude.

Un tempo le spigolatrici arrivavano e tornavano in gruppo, e stavano tutto il tempo assieme nei campi sotto un sole cocente. Oggi ogni spigolatore sta solo, soprattutto nelle città, rovista tra la spazzatura, tra gli avanzi del mercato, nei depositi urbani. Nei cassonetti gli scarti dei supermercati, pacchi ancora integri di frutta e verdura rifiutata, scartata, buttata “è la nostra fortuna” dicono gli spigolatori “non abbiamo paura di sporcarci le mani; si lavano, le mani”.

C’è chi va a raccogliere nei meleti o nei campi di patate ciò che le macchine hanno lasciato dopo il loro passaggio; sono tanti, tantissimi i prodotti abbandonati sui campi, basterebbero per una moltitudine di persone, ma c’è chi non sa nemmeno che può andarli a raccogliere, c’è chi non sa dove andarli a cercare. Sono gli “scartati” anche dallo spigolare.

Devono fare presto, però i nuovi spigolatori, hanno poco tempo perché devono arrivare prima che gli spazzini distruggano tutto o prima che le patate diventino verdi e velenose; nei campi sono i bambini a dare il segnale e mentre raccolgono, cantano “Lundi patates, Mardi patates, Mercredi patates aussi, Jeudi patates, Vendredi patates, Samedi patates aussi, Dimanche pommes de terre gratinées!

Gli spigolatori di ostriche, invece, con i loro secchielli e gli stivali di gomma, seguono il mare, aspettano che si ritiri o che arrivi un temporale per poter raccogliere le ostriche e le vongole sulla riva. Gli allevatori li lasciano fare (alla distanza giusta, però, senza entrare nei parchi, e senza esagerare nelle quantità!), sono ostriche piccole, portate dal mare, piene di sabbia, nessuno le comprerebbe.

In Borgogna, invece, dopo la vendemmia è vietato raccogliere l’uva che avanza; “è per tutelare la professione dei viticoltori”, dicono “e il vino Pommard premier cru”.  

Chi spreca e chi raccoglie; c’è un giovane chef tra gli spigolatori; raccoglie gli avanzi dei campi perché glielo hanno insegnato i suoi nonni e poi perché “so che prodotto è, so dove lo prendo, so che cosa ne devo fare”.

Agnès Varda intervista, commenta, parla, la sua voce è in scena o fuori campo, viaggia, riflette, ma soprattutto dialoga. E attraverso questo dialogo si apre alla comunanza con l’altro e la distanza si annulla. Il suo linguaggio cinematografico rinvia al suo cuore e rompe gli schemi. Un linguaggio innovatore e libero. Soprattutto libero. E leggero.

Le spigolatrici collezione museo d'Orsay

[Le spigolatrici collezione museo d’Orsay da Wikimedia Commons licenza CC 3.0]

Filma Agnès, filma a mano (a volte con una mano mentre riprende l’altra). Filma incontri e ancora incontri e storie narrate. Fino al Museo di Villefranche-sur-Saone dove riesce a convincere la curatrice a tirare fuori dagli archivi un dipinto di Hédouin che dormiva sepolto assieme ad altri quadri, le “Spigolatrici in fuga da un temporale”, lo vuole vedere esposto fuori, alla luce del sole e sentire il vento scuoterne la tela, sentirne il respiro, le voci. Sì, è esattamente quello il contesto per ammirare il dipinto.

Sarebbe troppo semplicistico e riduttivo pensare che in questo film-documentario Varda ponga solo l’accento sugli sprechi alimentari (sebbene già questo sarebbe sufficiente), ci sta dicendo qualcosa di ancora più profondo e sottile. E’ il senso di una società intera a uscirne devastato. Le immagini di Les glaneurs et la glaneuse sono una forte denuncia contro “la società e la mentalità degli sprechi” dove si è estinto il contatto con la natura. Un inno al trattenere il senso delle cose, a non farlo scivolar via, a combattere la privazione, la noncuranza, l’indifferenza di ciò che resta.

Lo sguardo limpido di Agnès Varda è come “un grillo su un mucchio di spazzatura”. E in quel mucchio, in quei frammenti di realtà dove nessuno si sarebbe sognato di andarla a cercare, ha ritrovato la bellezza. La bellezza che sfugge alle regole imposte da un mondo votato al suicidio.

In una sequenza Agnès Varda si autoritrae con la telecamera mentre lentamente pettina i suoi capelli grigi, poi inquadra le sue mani invecchiate e ci dice “I miei capelli e le mie mani mi dicono che la fine arriverà presto”. Ma il suo cinema, che ancora una volta è stato un atto d’amore, onesto e vero, quello resterà a noi come un dono.

 “C’è un’altra donna che spigola in questo film” dice Agnès, “e questa sono io”. “Per questo tipo di spigolatura, di immagini, di impressioni, di emozioni, non c’è legislazione”.

Presentato fuori concorso al 53esimo Festival di Cannes, LA VITA È UN RACCOLTO di Agnès Varda ha ottenuto riconoscimenti e vinto premi in tutto il mondo. Votato dalla rivista britannica Sight & Sound ottavo miglior documentario di tutti i tempi. Per la BBC occupa la posizione n. 99 dei 100 migliori film del XXI secolo.