[Introduzione di Ernesto Miramondi]

Sembrerebbe un tantino “distratto” il Dio che governa le nostre azioni.

Se esiste una giustizia Suprema come possono accadere così tante nefandezze?

Prima ancora di parlare di libero arbitrio degli esseri umani, quanto la realtà ci mostra è l’immagine di un creato dove le figure umane si muovono in un apparente cacofonia che frammenta i soggetti partecipi e li porta a collidere tra loro o a non incontrarsi affatto.

Soggetti privi di quella naturale armonia che investe e regola l’intero Universo, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, in un costante, eterno fruire di scambi energetici e mutamenti.

Allora, forse, il Dio che ci rappresenta tutti è un Dio ubriaco o forse è solo la natura degli esseri umani ad essere la vera artefice.

Una natura così tenacemente uguale a se stessa negli istinti eppure così mutevole nelle forme. Un progredire che si alimenta dall’apparente incontrollato coacervo di situazioni ed eventi nella ricerca di soluzioni a bisogni reali o solo immaginari.

Corsi e ricorsi storici che hanno accompagnato l’homo Sapiens dalla notte dei tempi e l’hanno condotto a scoperte e conquiste incommensurabili, da sempre accompagnato da un demone interiore che lo sta contemporaneamente conducendo sull’orlo dell’autodistruzione.

Il lavoro coreografico-musicale “Figli di un dio Ubriaco” di Michela Lucenti per il suo Balletto Civile, vuole regalarci una finestra poliedrica sul presente. Un presente fatto di figure fragili, “ubriache”, in cerca di equilibrio. Figure sparse in quadri ma legate tra loro dai madrigali di Monteverdi. Un declamare, un recitare intonato continuo incalzato dal basso continuo, che avvolge le figure in movimento.

Di seguito la recensione di Maria Elena Gori sulla prima di “Figli di un Dio ubriaco” portata in scena a Montepulciano, in una situazione assolutamente imprevista che ne ha aumentato la forza espressiva.

NEL DUOMO ROVESCIATO, I FIGLI DI UN DIO UBRIACO

[Recensione di Maria Elena Gori]

[Rassegna di Montepulciano – Dario Pichini Studio Fotografico]

Montepulciano, 16 luglio 2021. Un forte temporale pomeridiano costringe la compagnia di Michela Lucenti e Balletto civile a cambiare il luogo dello spettacolo, dall’esterno all’interno, dallo spazioso palco allestito sulle scale del duomo all’interno del duomo stesso.

E’ così che ribaltando la posizione abituale delle panche, per poter assistere allo spettacolo, si voltano le spalle all’altare  dove già un telo su cui è riprodotto il tritico dell’Assunta impedisce la vista della grande pala d’altare. La casualità dello spostamento dalla piazza all’interno della chiesa altera la resa finale della performance ed arricchisce forse di significati simbolici anche lo spettacolo nella sua visione d’insieme.

Non è in fondo teatro il rito e rito il teatro? Non è forse a suo modo imparentata con il teatro la gestualità rituale religiosa? E non è figlio anche il teatro del compiersi di un rito fatto di gesti e parole rappresentate di fronte ai fedeli spettatori?

 [Rassegna di Montepulciano – Dario Pichini Studio Fotografico]

Se un dio è ubriaco, anche il suo tempio è rovesciato nell’accogliere i suoi figli; nel rovesciamento sul proprio contrario, da aperto a chiuso, da esteso a limitato, anche i figli di Dio che assistono al rito religioso si trasformano in spettatori e si rispecchiano, rivolti verso la controfacciata, in altri figli, i figli di un dio ubriaco.

E speculari sono anch’essi: un giovane padre con il figlioletto e un nonno con la nipotina, operai maltrattati, sfruttati e dirigenti che licenziano senza motivo; fidanzati litigiosi che fanno pace, quando non si uccidono a vicenda, e innamorati incompresi non ricambiati che si corteggiano a turno, ad intermittenza.

Questi sembrano essere i protagonisti del polittico, quasi speculare alla pala d’altare, per l’impianto scenico in pannelli di stoffe broccate che fanno talvolta da cornice alle microstorie rappresentate; in essi si potrebbe riconoscere l’umanità stessa, persa tra la vanità (rappresentata da una ballerina in piume di struzzo che si atteggia a pavone), nel vano desiderio di autoaffermazione (che si palesa nel dirigente ingiusto, ridicolo e goffo, nel suo completo di lustrini e l’accento meridionale, che spera di vincere la gara di ballo).

[Rassegna di Montepulciano – Dario Pichini Studio Fotografico]

O il sogno di riscatto da un progetto di vita interrotto dalla necessità di migrare, per il giovane arabo che si trova ad essere, malgrado abbia già moglie e famiglia nel suo paese, corteggiato da una conoscente che lavora con lui in una ditta di pulizie.

Nel turbinio della danza, delle luci e delle vicende spesso rappresentate contemporaneamente le une alle atre sembra riflettersi una caleidoscopica vertigine, simile ad un brulichio di gente vista da lontano, forse dall’alto, dall’alto dei cieli? Ma in modo offuscato e confuso al punto da rendere difficile capire l’esito e il senso delle vicende dei singoli, quasi fosse lo sguardo assente ed impotente di un ubriaco, malgrado sia un dio.

Ma che si può fare? Che si può fare? Sembrano quindi chiedere le voci sovrane e angeliche dei soprani, loro sì! Voltate verso l’altare, quasi in preghiera in posizione speculare alle statue lignee dell’Annunciazione di Francesco di Valdambrino poste sui pilastri della navata centrale. Donne anche loro, come donne sono la Vergine Maria e Barbara Strozzi che compose nel ‘600 la musica su testo del padre Giulio Strozzi, “Che si può fare”, in cui si chiede motivo e consolazione di un dolore che, l’eco dell’edificio e le vicende danzate fanno risuonare cosmico.

[Rassegna di Montepulciano – Dario Pichini Studio Fotografico]

Nella cattedrale, come nei brani scelti, (un rosa che spazia dalla musica barocca al quella contemporanea, dai madrigali di Monteverdi ad una inedita versione della canzone “Un senso” di Vasco Rossi) si rispecchia la sintesi che si realizza tra struttura rinascimentale del duomo e lo spettacolo di danza moderna e contemporanea che il duomo ospita, parallelamente alla sintesi tra l’estetica rinascimentale della forma poetica del madrigale e la modernità delle musiche monteverdiane e degli altri musicisti barocchi.

E forse, una volta finito il turbinio confuso di colori, situazioni, frammenti di poetica tenerezza quasi spiati, come quelli degli innocenti e scherzosi giochi  tra il vecchio e la bambina; o tra il giovane padre ed il figlioletto; o del giovane africano che si fa bello per la sua innamorata, danza con lei e per lei e poi suona, con la kora, uno strumento tipico del suo paese, una struggente melodia, mentre lei è distesa vicino a lui, riportandoci alla dimensione ritmica e ancestrale dell’Africa e del tempo che va al passo dell’uomo, il pensiero è portato al desiderio di ognuno: attore, ballerino, spettatore, fedele o figlio di dio che sia, di dare un senso a questa vita, anche se (quando dio è ubriaco) questa vita un senso non ce l’ha.

Si ringrazia la “Fondazione Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano” e “Dario Pichini Studio Fotografico” che ci hanno permesso di pubblicare le belle immagini presenti in questo articolo..

Logo del commerciante

  logo2