[di Roberto Dominici]

Comunicare con la persona con demenza

La demenza non cancella la vita

    [Foto E. Miramondi – La demenza non cancella la vita]

Una delle caratteristiche che contraddistinguono le persone colpite da demenza è la progressiva e per ora purtroppo inarrestabile perdita delle funzioni cognitive quali la memoria, la capacità di giudizio, di ragionamento logico, l’abilità di effettuare calcoli anche semplici e tra queste vi è anche il progressivo impoverimento del linguaggio verbale.

Il linguaggio è, insieme alla scrittura, una delle capacità che contraddistingue la specie Homo sapiens da tutte le altre ponendola all’apice della scala zoologica. Produrre e comprendere costrutti linguistici e segnali non verbali è un’abilità fondamentale della mente umana. Inoltre essa s’intreccia con le altre abilità cognitive dell’uomo poiché le parole e i segnali non verbali propri della cultura a cui apparteniamo sono in grado di influenzare il nostro modo di percepire, di ricordare e di pensare.

Quindi, la comunicazione in quanto tale non può sfuggire insieme alle altre funzioni mentali, (ad es. apprendimento e memoria, giudizio critico e ragionamento, orientamento) alle conseguenze negative della demenza.

La demenza non cancella la vita

[Foto E. Miramondi – La demenza non cancella la vita]

La comunicazione verbale è quindi un requisito cosi peculiare e prezioso e subisce un progressivo deterioramento con il progredire della malattia; in particolare esistono alcune forme di demenza che ricadono nel gruppo delle forme “non Alzheimer” denominate frontotemporali e di cui esistono vari tipi e sottotipi come per esempio l’afasia progressiva primaria (APP) che è una sindrome rara caratterizzata da aspetti clinici polimorfi che presentano come elemento in comune la perdita del linguaggio.

Il deficit linguistico può presentarsi a livello fonologico, semantico e sintattico, sul versante orale o scritto. Richiede un principale deficit linguistico isolato durante la fase iniziale della malattia, con insorgenza insidiosa e deterioramento graduale e progressivo della produzione linguistica (tra cui difficoltà nella denominazione di oggetti, sintassi o comprensione delle parole) che si fa evidente sia durante la conversazione che attraverso la valutazione formale del linguaggio.

Esiste inoltre il tipo di demenza semantica nella quale, a differenza dell’afasia prima progressiva, le persone affette parlano, leggono e scrivono fluentemente, ma non sanno più denominare le cose con il loro nome, non comprendono il significato delle parole e non riconoscono più rumori e oggetti. La demenza può compromettere non solo le funzioni cognitive ma anche il comportamento e/o la capacità di agire nella vita quotidiana; può avere conseguenze sulla vita familiare, sociale e lavorativa della persona.

Di fronte a queste malattie invalidanti si pone un duplice problema essenziale: da un lato come continuare a comunicare e mantenere un livello adeguato di reciproca interazione, e dall’altro assicurare alla persona ogni possibilità di essere compreso e salvaguardato nella sua dignità di persona.

La-demenza-non-cancella-la-vita

  [P. Vigorelli – Dialoghi Imperfetti – F. Angeli ed, 2021]

Alcuni indirizzi di stimolazione cognitiva hanno proprio questo come obiettivo. Cito fra tutti l’approccio capacitante sviluppato da Pietro Vigorelli che ha scritto il libro “Dialoghi Imperfetti” (Franco Angeli editore, 2021) che costituisce una modalità di rapporto interpersonale basata sul riconoscimento delle competenze elementari dell’interlocutore e che ha per fine una convivenza adeguatamente felice tra i parlanti.

Questa modalità d’intervento vuole creare un ambiente in cui ciascuno possa esercitare le competenze elementari (tra cui quella di parlare e di comunicare) così come può, senza sentirsi in errore, con l’obiettivo di favorire una convivenza sufficientemente felice anche nei contesti di cura residenziali come le RSA, tra ospiti, operatori e familiari.

Tale approccio ha le sue radici nel concetto di alleanza terapeutica, si sviluppa con il Conversazionalismo di Giampaolo Lai e si interseca con i contributi di altri autori. Alla base di tale approccio vi è l’obiettivo di promuovere l’utilizzo appropriato, inclusivo, non stigmatizzante del linguaggio quando si parla di demenza e persone con demenza.

Il linguaggio che usiamo per parlare della demenza condiziona la considerazione (o il giudizio) sulle persone con demenza e come di conseguenza esse si sentono e vivono la loro condizione.

Le persone con demenza preferiscono parole e descrizioni accurate, equilibrate, rispettose, inclusive e chiedono di evitare:

  1. Parole che fanno fisicamente indietreggiare le persone quando le leggono o le sentono
  2. Parole che fanno pensare che la vita con demenza non valga la pena di essere vissuta e che le persone con demenza siano incapaci e non abbiano più nulla da dare
  3. Parole che sono riferite negativamente alla persona piuttosto che alla condizione di demenza
  4. Parole che creano stereotipi

La demenza non cancella la vita

  [Foto E. Miramondi – La demenza non cancella la vita]

Quando parliamo di una persona con demenza occorre tenere presente che le persone con demenza sono prima di tutto persone e non si deve pensare che una diagnosi di demenza significhi che la loro vita sia finita.

La demenza non cancella la Vita.

Piuttosto è il nostro linguaggio che libero da pregiudizi si deve adeguare per esempio utilizzando termini e parole che sono da preferire quando si parla di una persona con demenza:

  1. Persona con demenza
  2. Persona che convive con la demenza
  3. Persona con diagnosi di demenza

Molti dei termini ancora usati sono avvilenti e dispregiativi.

La demenza non cancella la vita

   [Foto E. Miramondi – La demenza non cancella la vita]

Termini come vittima e sofferente contribuiscono ad amplificare lo stigma intorno alla demenza e termini come demente antepongono la condizione di demenza alla persona.

L’uso di termini come “persona con o che vive con la demenza” mantiene invece la dignità della persona, sottolinea che si tratta sempre di una persona e non la giudica per la sua condizione.

Nella relazione di cura con le persone affette da demenza è possibile incorrere in alcune trappole inaspettate, una delle quali è il ricorso pervasivo del linguaggio non verbale trascurando quello verbale.

È molto importante invece tenere il più possibile vivo e valorizzare il linguaggio verbale anche con le persone con demenza di grado severo. Solo quando, per esempio nelle fasi più avanzate di malattia, la compromissione linguistica raggiunge gradi di estrema criticità allora può essere di ausilio la comunicazione non verbale cioè quel tipo di comunicazione che viene fatta tramite segnali non verbali, come sguardi, espressioni del viso e gesti, cioè quel processo di scambio di informazioni e messaggi che va oltre al linguaggio semantico.

In molti considerano la comunicazione non verbale come universalmente comprensibile, capace anche di superare ogni barriera linguistica. Questo perché ogni individuo comunica con l’espressione facciale e i movimenti del corpo, per sottolineare i propri concetti. Essa può regalare delle informazioni aggiuntive alla semplice comunicazione verbale. Può, ad esempio, indicarci lo stato d’animo dell’interlocutore, può enfatizzare le parole dette o, al contrario, può contraddirle.  Bisogna dimenticare definitivamente l’affermazione,  “Non si può comunicare con un malato di Alzheimer”.

Al contrario, c’è ancora molto da comunicare e ciò per tutta la durata della malattia…. c’è comunicazione finché c’è vita! Il mantenere aperta la comunicazione con il malato, adattata secondo l’evoluzione della malattia, fa parte integrante della “cura” non solo perché rappresenta un modo informale di stimolare la persona e di evitare o ridurre molti disturbi comportamentali, ma anche perché contribuisce significativamente ad una dignitosa qualità di vita del malato e anche di coloro che gli stanno vicino.