-Testo e foto Anna Roberto-

Domani parto e devo cercare una valigia. Ho le cose sparpagliate sul letto ma non ho più una valigia. Mi han detto che sul lungomare le vendono. Prendo la bici e la macchina fotografica. Faccio il giro largo. Ho ancora un po’ di tempo. Il cielo racconta di nuvole e merita.

Sbuca quasi dal nulla. Con in bocca una mezza sigaretta spenta. Cammina appoggiandosi al suo bastone fatto con un ramo di

albero. E barcollando mi viene incontro. L’ultimo giorno prima di partire.

Mi ferma e mi fa intendere che sì, posso fotografarlo. Si mette in posa. Io non capisco quasi niente di quello che dice, ma non perché parla in dialetto; parla una lingua strana fatta di parole mozzate, di lettere cambiate, strascicate, accelerate.

Cerco di ascoltare bene e piano piano inizio ad intuire poi a capire. Mi aiutano i suoi gesti. Mi racconta di qualcosa che è successo il giorno prima, sulla spiaggia. Di Giuseppe che si è tagliato le vene dei polsi nel bosco e poi si è buttato a mare. Non ne voleva più sapere. Era figlio di non capisco bene chi, che abitava non capisco bene dove. Vedi, oggi stanno andando tutti là, a casa sua. Non ce la faceva più.

Come donna Emilia che ora non parla più con nessuno e sta seduta a guardare il mare. Ma prima lei era un Magistrato, di quelli tosti, mi fa capire.

– Tutto. Tutto. Aveva lasciato tutto. Figli, marito, paese e si era ritrovata qui. Da sola. A combattere, Completamente sola, capisci?. Ma a combattere contro che cosa, forse, non lo ha mai capito nemmeno lei. 

Nella sua casa non c’è più nessuno, c’è solo una bambola. La tiene sul comò della sua camera.  Nessuno va a trovarla.

Niente, sai? qui non c’è niente. Non c’è mai stato niente. Perché hanno saccheggiato tutto. Hanno portato via tutto. Prima, forse… Prima c’erano le industrie, lo sapevi? Le industrie dell’acciaio. Molto prima…. prima di Garibaldi. Mongiana, Mongiana, vai a Mongiana. Poi hanno chiuso tutto.

Maria lo sa, chiedi a Maria. E’ dovuta andare a Milano per lavorare in fabbrica. Le fabbriche erano qui e lei è dovuta andare a Milano. Tu lo sai dov’è Milano? Non potevi mica andarci al bagno in fabbrica. Solo una volta al giorno e dovevi chiedere la chiave, perché il bagno lo tenevano chiuso. Se ti scappava erano cavoli tuoi. Chiedi a Maria. Maria lo sa.

Qui non c’è niente. Non c’è più niente. Non c’è mai stato niente.

Dicono che c’è la’Ndrangheta. Ma che è ‘sta ‘Ndrangheta? C’era Santazzo. Santazzo Scidone. Mica il governo ci ha dato le scuole a noi, ci ha pensato Sciruni a fare la scuola, scuola di picciotteria. E se no che c’era? Questa è la storia. Poi l’hanno infilzato a Sciruni, come al pescespada.

Turi sarebbe stato un bravo picciotto. 

Silenzioso e fedele. Non si chiama Turi. Lo chiamo io Turi. In verità si chiama Mohamed. Ma per me è difficile dirlo. 

Turi, lo chiamo. Turi, Turino, Momé… a volte Momé… per abbreviare. Vende valige sul lungomare, “Tieni questa è la più bella”, lo dice a tutti i turisti, ma non si sente a casa sua. Lui vorrebbe tornare a casa. Vende valige ma non può tornare a casa sua, ad Harbat, Rabat, non so. Suo padre non vuole, non vuole Harbat. E così Turi vende le valige agli altri.

Guarda, guardati intorno, è tutto chiuso. Le vedi le finestre, le porte? Sono chiuse, è tutto chiuso. 

Non vedi niente, non senti niente. Ma quale ‘Ndrangheta. Niente, niente, qui non c’è niente, non senti niente e non vedi niente.

Avevo un cane, però. Me lo hanno impiccato all’albero. All’albero del bosco.

Ora basta, va’, io me ne vado. Vattene anche tu dai, io me ne vado -.

Si appoggia al suo bastone fatto con un ramo d’albero. E barcollando, con in bocca una mezza sigaretta spenta, mi volta le spalle e passa oltre.

– Ma come ti chiami? – Gli urlo. 

– Gigi. Luigi. Ginetto. Gino. Non so -.

Lo sento appena. Lo vedo appena. Sparisce nel bosco. Dove gli han fatto ritrovare il suo cane impiccato.

Domani parto, con lo stesso  treno che fischia ora dentro questo cielo sconvolto. 

Devo ancora cercare una valigia.