[Un racconto di Antonella Marsiglio]

                                                                                                                                             [Foto di Ernesto Miramondi]

«Le è chiaro che una volta firmata la denuncia poi verrà notificata a suo marito?»

Testa inclinata in avanti, posa ormai abituale per chi come me, teme che anche solo uno sguardo possa essere frainteso come una sfida. Capelli spettinati che coprono completamente il volto, qualche lacrima che ostinatamente tenta di scendere mentre tiro un po’ su con il naso, sono così  stupida che dimentico sempre i fazzoletti, i muscoli della faccia mi fanno male: un pugno chiuso molto stretto ha preso in pieno il viso tra occhio e naso, questa volta non si è neanche preso il disturbo di togliersi la fede, di solito prima di colpirmi lo fa, non certo per farmi meno male ma solo per poter rendere più chiaro che non merito di essere sposata a lui.

È sceso molto sangue, il medico mentre mi medica mi dice «Questa volta sembra peggio di quello che è » … si “questa volta”, perché nonostante cerco di cambiare spesso pronto soccorso questo medico mi ha già visitato altre tre volte quest’anno e lui si ricorda di me forse perché l’ultima volta mi ha visto due volte in tre ore; tornata a casa a lui, a mio marito, non era ancora passata, anzi era più arrabbiato. Si era molto innervosito al pronto soccorso perché ci avevano messo quaranta minuti a medicarmi e all’uscita il medico mi aveva toccato la spalla nel salutarmi: era evidente che oltre la medicazione “là dentro” avevamo fatto altro e quando ho negato mi ha colpito con intenzione esattamente sui punti appena messi, sopra l’occhio.

«Ora torna per una sveltina dal tuo amante.»

La faccia mio marito la predilige, un tempo colpiva più lo stomaco, le gambe o le braccia ma con il tempo ha smesso di essere discreto.

«Sono una stupida, appena rientrata in casa sono inciampata sulle scale, è stato un incidente.»

Ormai non cambio neanche più scusa, sono sempre inciampata sulle scale.

«Signora, lo deve denunciare, fino ad ora le è andata bene ma prima o poi l’ammazza. Io sono obbligato a segnalare questa situazione.»

«Se lo denuncio mi ammazza veramente.»

«No signora, l’ammazza se non lo denuncia.»

Non che non ci abbia mai pensato che prima o poi potrebbe uccidermi per davvero, ma quando ho iniziato a pensarlo ho anche capito che non avevo via di scampo.

«Signora mi ha sentito?”

«Si.»

«Ha un posto dove andare?  Un’amica? La famiglia?»

Scuoto solo la testa per dire che non ho nessuno.

Mi vergogno così tanto ad andare da Elisa, la mia migliore amica, non la vedo da tre anni, a mio marito quella “puttanella” non è mai piaciuta, e non ha voluto che la frequentassi, lei mi metteva strane idee in testa, “lei non è sposata, non sa cosa vuol dire prendersi un impegno serio, è solo capace di fare la sgualdrina, cosa avete da dirvi?”

Ho smesso di vederla e l’ho bloccata sul cellulare perché mio marito alla sera controlla chi ho chiamato, ma soprattutto controlla chi mi ha chiamata.

Elisa la prima volta che lui mi ha dato una sberla mi aveva detto di lasciarlo subito. Ma la prima sberla fu un errore … sì un errore mio: ero in ritardo con la cena. lui il giorno dopo è tornato a casa con dei fiori, dei cioccolatini e piangendo mi ha chiesto scusa.

Anche alla seconda sberla Elisa si era scaldata molto, si era addirittura messa a farmi la valigia, lei metteva dentro roba alla rinfusa e io la tiravo fuori, la ripiegavo e la rimettevo nel cassetto pregando che non si fosse sgualcita perché a lui non piace che la biancheria sia in disordine e, quando torna stanco dal lavoro, merita di trovare la casa in ordine.

Cercavo di spiegarle che lui non era cattivo e soffriva più di me. La colpa era mia, dovevo decidermi a mettere la testa a posto, avevo 28 anni, dovevo smetterla di comportarmi come una ragazzina.

Una donna sposata non ha bisogno di andare dal parrucchiere una volta al mese: è stupida vanità, voglia di piacere a tutti … ma a tutti chi?? Io devo piacere solo a lui, e anche l’abbigliamento, perché non posso mettere cose meno appariscenti? Più comode … e quelle stupide scarpe con i tacchi? Per chi devo sembrare più alta? La natura mi ha voluta 1,62 cosa stavo cercando?

Poi noi stavamo cercando di avere dei figli. E Dei figli ci se ne prende cura coi tacchi? Lo si sa che sono imprevedibili, se non si sta attente cadono e si fanno male. Che madre sarei?

Mia suocera non ha mai portato i tacchi e mia suocera è una donna vera che di figli ne ha cresciuti cinque, cosa ne posso sapere io che sono figlia unica? Avrei tanto voluto una sorella o un fratello e il desiderio si era quasi avverato ma una sera mia madre che era al sesto mese aveva alzato un po’ troppo la voce, e mio padre l’aveva trascinata a terra e presa a calci sulla pancia così ha perso il bambino e anche la possibilità di averne altri.

Una volta alla televisione ho sentito dire che spesso noi donne cerchiamo nell’uomo ideale di identificare nostro padre, io ci sono riuscita.

No, dalla mia famiglia non potevo tornare: mio padre mi avrebbe riportato lui stesso da mio marito, e magari prima mi avrebbe tirato due ceffoni ricordandomi che il posto di una donna è a casa dal marito.

«Signora, cosa fa? La firma la denuncia?»

«Se la firmo cosa succede?»

«con la denuncia iniziano le indagini e il GIP decide se rinviare a giudizio suo marito o archiviare la pratica.»

«Capita spesso che il GIP archivi la pratica?»

«Dipende dai risultati delle indagini, dalle testimonianze, dai referti medici, qui ne vedo tanti.»

«Quindi dopo la denuncia voi gliela consegnate e basta? Non lo allontanate da casa?»

«Il GIP può decidere di emettere una misura restrittiva.»

«In cosa consiste?»

«Che suo marito non potrà avvicinarsi a lei e la distanza la decide il giudice.»

«Ma a lui materialmente chi gli può impedire di venire a casa e picchiarmi o magari uccidermi?»

«Se si dovesse avvicinare, lei ci chiama e noi interveniamo, e in questo caso la posizione di suo marito si aggraverebbe.»

«Se non arrivate in tempo?»

«Se non arriviamo in tempo …. Lo arrestiamo.»

«Ah giusto, se non arrivate in tempo lui mi uccide.»

«Signora, non le parlo da poliziotto, le parlo da padre, ho una figlia che ha pochi anni meno di lei e non posso neanche immaginare come reagirei se al posto suo ci fosse lei. E’ in una situazione pericolosa, e ha solo due scelte: restare o andarsene, solo che se resta le percentuali che finisca male per lei sono più alte.»

«Dovrei scappare?»

«Dovrebbe andarsene!»

«Io non so dove andare, io non ho nessuno. Dopo il matrimonio ho smesso di lavorare…»

Ho smesso di lavorare … diciamo che qualche calcio e una minaccia di morte sono state più che convincenti, d’altra parte il suo stipendio bastava, diceva, certo dovevamo fare qualche rinuncia ma tolti i miei stupidi vizi, soldi ce ne sarebbero stati d’avanzo.

«Si è mai rivolta ad un centro anti violenza?»

«No.»

«Facciamo così, io metto la denuncia da parte ma non la butto, la tengo per qualche giorno qui, sotto tutte le mie carte, tanto qui lo sanno tutti che sono disordinato e non butto via mai niente, intanto le scrivo il numero di un centro anti violenza della zona e lei mi promette di chiamarli e prendere appuntamento, poi dopo l’incontro deciderà se venire qui a firmare la denuncia. Va bene?»

«Penso di si.»

«Signora, riallacci i contatti con la sua famiglia e con gli amici, non si vergogni di raccontare la sua situazione. L’isolamento alza il muro della sua prigionia, mi creda.»

«Questo è difficile da fare.»

«Lo immagino, ma non è necessario lottare da sola, lei non ha fatto nulla di male, lei non ha nessuna colpa. L’ unico che sta sbagliando è suo marito.»

«La ringrazio.»

«Non lo sto dicendo per consolarla. Chiami il centro anti violenza.»

Il poliziotto non poteva capire quanto già era stato difficile andare lì, la paura di raccontare la mia storia, e la paura che se lui torna a casa prima e non mi trova per me sono guai.

Il suo fare paterno, il suo tenermi la mano stretta alla sua mentre mi salutava, lo so che ha provato solo pena, ma è da così tanti anni che nessuno ha un atteggiamento così delicato nei miei confronti che mi ha fatto venire da piangere.

Per fortuna sono riuscita a rientrare in casa prima di lui, ho preparato la cena e stranamente gli andava bene come era, è difficile vivere costantemente con la paura che un niente gli faccia saltare i nervi e sapere che quella potrebbe essere la volta che mi uccide.

Al telegiornale hanno dato la notizia di un femmincidio, stavo lavando i piatti e fingevo di non sentire la notizia, temevo che il solo ascoltare queste informazioni lo avrebbe infastidito, invece è scoppiato a ridere:

«Vorrebbero condannarlo? Quando una donna si comporta da puttana ucciderla è l’unica cosa che rimane da fare. Vedrai che gli daranno le attenuanti e sarà scarcerato come è giusto che sia.»

Anni di botte e umiliazioni, e non ho mai trovato il coraggio di reagire, ma quella frase … quella frase mi ha convinta a chiamare il centro anti violenza.

….

Improvvisamente si fa buio, vedo tutto nero e ho un gran freddo. Non sento più rumori e neanche la sua voce però sento il sangue colare sul viso: è il mio sangue!!

«Vieni a prenderti la tua roba domani che sono al lavoro, se quando ritorno la trovo ancora la butto in strada, e lascia le chiavi di casa MIA nella cassetta della posta.»

Quando mi è arrivato questo messaggio mi sono sentita liberata di un peso, ho pensato “Era così facile andarsene?” ormai erano tre mesi che non vivevo più con lui, ho ripensato anche ai consigli dell’avvocato del centro anti violenza: «Per nessun motivo accetti un invito a rivederlo, non accetti mai e poi mai la richiesta di un ultimo incontro.»

Lui per il primo mese mi ha chiesto tutti i giorni di vederci un’ultima volta e io mi sono sempre rifiutata poi per un po’ di tempo è scomparso fino all’arrivo del messaggio, ma questa volta non mi chiedeva nessun incontro, anzi voleva che mi portassi via la mia roba mentre lui era al lavoro e voleva le chiavi di casa NOSTRA, ma della casa non mi interessa nulla, forse mi interessavano anche poco le mie cose rimaste lì, o meglio mi interessavano sì ma se riaverle voleva dire incontrare lui ci rinunciavo volentieri, ma visto che le avrebbe buttate e non dovevo incontrarlo … e poi gli avrei lasciato le chiavi, se no magari avrebbe ripreso a mandarmi messaggi tutti i giorni per riaverle, infondo avremmo entrambi riavuto quello che volevamo e poi per sempre sarebbe finita.

Mi aveva detto di andare quando era al lavoro, così ho fatto ma dopo pochi minuti che ero in casa ho sentito alle mie spalle la sua voce: «Sei la stronza di sempre. Mi hai rovinato la vita, come ho fatto a farmi rovinare la vita da un essere inutile come te? Lo sai di non valere niente vero? Rispondimi, lo sai? Avanti dimmi IO NON VALGO NIENTE.»

Io l’ho assecondato, questa volta era molto arrabbiato

«Io non valgo niente.»

«Mettiti in ginocchio e chiedimi scusa per avermi rovinato la vita.»

Voleva umiliarmi e io l’ho assecondato, ho fatto tutto quello che mi ha ordinato di fare fino a quando mi ha detto: «Sai qual è l’unica cosa che potrebbe ricompensarmi dello schifo che è stato averti sposata? Cosa darebbe finalmente un senso alla mia vita? Ucciderti con le mie mani.»

Ecco qui non potevo assecondarlo, dovevo almeno provare a difendermi, o meglio, almeno tentare di scappare, ovviamente fu una lotta impari lui ci ha messo meno di tre minuti ad afferrarmi e buttarmi prima a terra e poi giù dalle scale che vanno in taverna, prima mi ha preso a calci in faccia e allo stomaco poi mi ha strangolata. Ad un certo punto deve aver pensato che ero morta perché si è fermato e l’ho sentito scavalcarmi per andare a sedersi sul divano e accendersi la televisione.

Non so quanto tempo è passato, forse ore o forse solo minuti, qualcuno ha suonato alla porta.

«Stiamo cercando sua moglie.»

Lui ha risposto che non mi ha più vista da quando me ne sono andata di casa.

«È sicuro di quello che sta dicendo? La madre dice che stamattina doveva venire qui a prendere delle cose … vedo un bel po’ di disordine, sembra ci sia stata una lotta, dov’è sua moglie?»

«Doveva venire ma poi mi ha mandato un messaggio per dirmi che le faceva troppo male tornare qui, che era pentita e sapeva che non avrei mai perdonato tutte le bugie che ha detto su di me e che quindi preferiva che io buttassi via tutto.»

«Quindi se adesso chiedessi di controllare i tabulati telefonici si troverebbe traccia del messaggio, giusto? E se io ora le chiedessi di fare un giro per casa lei non avrebbe nulla in contrario perché qui sua moglie non c’è, ancora giusto?»

«È caduta dalle scale, stava andando a prendere le sue cose e … credo sia morta, mi sono spaventato e …»

Ho riaperto gli occhi un momento mentre mi stavano portando fuori i paramedici

«Signora, mi sente? Ha visto? Siamo arrivati in tempo!»

Il poliziotto mi ha accarezzato lievemente una mano.

Mi ha salvato la vita mia madre, una vittima che per lei non ha mai trovato il coraggio di chiamare la polizia.